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Manto acuifero - Recensione (Festival di Roma 2013 - Concorso)

L'educazione di una ragazzina solitaria, frutto di una separazione: Manto acuifero vorrebbe essere questo, ma è anche molto di più, in peggio. Tematiche ovvie e scontate e una esplosione stile Michael Haneke: abbiamo Il Nastro Bianco con tequila e chili

Una bambina come tante con genitori separati come tanti, la mamma col suo nuovo partner: il triangolo di situazioni appare subito di quelli fin troppo standard. Carolina, la ragazzina, è solitaria, introversa, trova solo nel rapporto con la natura popolata di insetti ed altri animali la sua giusta dimensione (il padre è entomologo, quindi è scritto nel DNA). Tutto intorno a lei appare in ordine: la casa, il giardino, la quiete di una famiglia tranquilla. Solo lei sembra il punto oscuro di una situazione altrimenti quasi perfetta.
Poi ci sono le galline e i galli, le uova deposte, la ragazzina che cerca di isolarsi ancora di più dal mondo calandosi in un pozzo poco profondo e portandosi dietro le sue poche cose con cui passare il tempo. Naturalmente la madre non si accorge delle inquietudini della ragazzina, sembra più interessata a compiacere il suo nuovo partner. La casa ha orecchie ovunque di cui Carolina si serve per entrare di soppiatto nel mondo (compreso il letto) degli adulti.
Siccome ormai abbiamo capito che la ragazzina è problematica, quel finale, che lascia intuire, solo intuire, uno sprazzo di esplosione è quanto di più coerente. Peccato però che oltre a riempire il film di situazioni ovvie e scontate e ad offrire metafore a libera interpretazione (sia davvero il primo film avicolo? Si vendicheranno i pennuti con una nuova aviaria?) Manto Acuifero sa regalare solo noia a profusione, facendo leva sulla imperitura tematica della sensibilità infantile spazzata via da un mondo adulto che si autofagocita ignaro dei danni che produce.

Unico aspetto che regala qualche labile spunto positivo è la regia di Michael Rowe, essenziale e lucida, ben poco ahimè di fronte ad un lavoro impalpabile. Ciò che lascia invece attoniti (in negativo) è il finale volutamente metaforico e pedagogico che sembra dare, tra le tante, una chiave di lettura in senso hanekiano: un Nastro Bianco condito con tequila e chili.

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