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Shark 3D (Venezia 69 - Fuori concorso)

Una immagine tratta dal film Shark 3DUno squalo va a caccia di giovani esche umane intrappolate in un supermercato allagato da uno tsunami. Il primo film d'azione della storia del cinema australiano fa un po' di paura e fa soprattutto ridere e sorridere con leggerezza

Josh ha vent'anni, ha una bellissima ragazza Tina con cui sta per andare a vivere a Singapore. Nella vita fa il bagnino insieme al suo migliore amico Rory , fratello della ragazza. Una mattina quest'ultimo viene ucciso da uno squalo; Josh cerca di salvarlo ma arriva troppo tardi. Passa un anno. Tina se n'è andata, lasciando il suo ex fidanzato a casa immerso nel dolore per la scomparsa dell'amico. Ora lavora in un market, ma in una mattina di lavoro Josh incontra Tina con il suo nuovo fidanzato. Non c'è spazio però per il riavvicinamento, perché la città viene sommersa da un violento e devastante tsunami che intrappola i giovani più altri superstiti nel supermercato allagato. Da qui inizia la sfida di sopravvivenza contro due squali bianchi che sembrano intenzionati a eliminare i protagonisti uno ad uno.
Shark 3D
(Bait 3D in originale) rimarrà iscritto nella storia del cinema perché è il primo film d'azione australiano girato in 3D. Questo è l'unico motivo per cui sarà ricordato.
Il regista Kimble Rendall ha assemblato tra loro tutti gli elementi linguistici che caratterizzano un film di genere basato sulla paura e sulla suspense. C'è la lotta dell'uomo contro l'animale feroce e contro la natura, la sua volontà di non arrendersi, sospinto dall'amore e dalla sua intelligenza e furbizia. C'è la volontà di reagire contro una situazione avversa, in cui un gruppo di persone, divisi inizialmente, cooperando e avendo reciproca fiducia, riescono nell'impresa. C'è anche l'ironia e la comicità.
C'è tutto questo, ma manca il film. Rendall, sfruttando la prima volta di una pellicola d'azione di produzione australiana e la cinematografia moderna che ha indagato questo genere più e più volte, poteva realizzare un film innovativo, secondo nuovi schemi narrativi e linguistici. Si è limitato invece a porre l'una vicina all'altra singole scene, intese come momenti di narrazione indipendente, recitati con poca autorevolezza, non tenuti insieme dalla naturale suspense e dalla tragica sorpresa che caratterizzano i film sulla paura. Per questo la visione è prevedibile e il pubblico intuisce con largo anticipo le scelte dei protagonisti, arrivando ad annoiarsi. Perfino la loro giusta causa di sopravvivenza è talmente enfatizzata e resa con stucchevole passione, da apparire artefatta al punto che chi guarda a un certo punto parteggia per lo squalo, per trovare un elemento di novità!
Sembra che il regista abbia rinunciato a questi elementi fondamentali, per concentrarsi, invece, sulla ricerca di una estetica dei luoghi e dei personaggi paradossale. Tutto appare troppo. Le coste australiane all'inizio sembrano dei paradisi terrestri, mentre alla fine dei luoghi inospitali e distrutti dalla ferocia della natura che non lasciano spazio all'uomo. Anche i protagonisti subiscono lo stesso trattamento. Passano da una bellezza innaturale a una distruzione estetica e fisica durante il combattimento con lo squalo, accentuata da uno sguardo finale pieno di un finto e comico sentimento di vittoria.

In questo modo non c'è immedesimazione da parte del pubblico e quindi poca volontà, ancora una volta, di porsi a fianco alla missione dei protagonisti. Quindi a Shark 3D (presentato Fuori Concorso alla 69esima Mostra del Cinema di Venezia) rimangono gli allori di una prima volta che servirà più come esempio da non ripetersi.

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