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La Razzabastarda di Alessandro Gassman

"Ho deciso di parlare di una storia in cui i protagonisti sono i rumeni, che ormai in Italia sono circa un milione e mezzo", ci racconta in una intervista Alessandro Gassman, che presenta il suo primo film da regista: Razzabastarda


Alessandro Gassman, in occasione del suo debutto come regista, ha incontrato la stampa e presentato il suo film Razzabastarda. Una pellicola drammatica, che affronta il tema dell’integrazione degli immigrati. Dal 18 aprile nei cinema grazie a Moviemax.

Com’è stato l’impatto con questo nuovo ruolo, dietro alla macchina da presa?
Alessandro Gassman: Questo è un mestiere che sento molto vicino a me, quasi come se l’avessi sempre fatto. Spero che mi venga data la possibilità di continuare, ho già in mente altre due storie che vorrei raccontare.

Per l’esordio hai scelto un tema molto lontano da te, come mai?
A.G.: Il film è tratto dalla pièce teatrale Cuba and his Teddy Bear dello scrittore cubano Reinaldo Podov, che mettiamo in scena ormai da tre anni. A parte questo, ho molto in comune con il mio personaggio: mia nonna, che aveva un nome ebraico, ha dovuto modificarlo per ragioni politiche assurde. Io spero che queste cose non debbano più ripetersi e per questo ho deciso di parlare di una storia in cui i protagonisti sono i rumeni, che ormai in Italia sono circa un milione e mezzo.

In che modo ti sei preparato a interpretare il protagonista Roman?
A.G.: Ascoltando molto e imitando. In particolare ho avuto due operai rumeni che mi hanno rifatto il bagno e ho avuto modo di stare a stretto contatto con loro per apprenderne i modi di comportarsi e anche di parlare: il rumeno ‘italianizzato’ è diverso di città in città e c’era il rischio di cadere nella macchietta. Fortunatamente abbiamo avuto tre anni di tempo per affinare, anche se dal teatro al cinema la situazione cambia notevolmente.

Nel film si parla molto del rapporto padre-figlio…
A.G.: Anche se Roman e suo figlio Nicu si vogliono molto bene, in realtà non si incontrano mai perché non si capiscono. Il ragazzo è nato in Italia, ma essendo di origini rumene si sente un disadattato. Il profondo senso di inquietudine che pervade il racconto è voluto, spero serva a rendere il film utile per alcuni importanti spunti di riflessione.

Il ruolo di Amnesty International nel film?
A.G.: L’Associazione ha patrocinato questo lavoro, in cui si parla di un’etnia presente in maniera massiccia nel nostro Paese. Basti pensare che i rom sono il doppio dei lucani: partendo da questo presupposto, dovremmo tutti cercare di capire chi sono e come possono arricchire la nostra cultura.

Vai alla scheda del film

 

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