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Il melodramma d'amore di Jacques Audiard

Jacques AudiardA tu per tu con il regista francese de Il profeta, alla vigilia dell'uscita sugli schermi italiani di Un sapore di ruggine e ossa

Jacques Audiard, regista francese reduce dal successo di critica e pubblico de Il profeta, ci parla in un'intervista della sua ultima fatica, Un sapore di ruggine e ossa, presentato allo scorso Festival di Cannes. Tratto da una raccolta di racconti di Craig Davidson e sorretto splendidamente da due attori in forma smagliante (Marion Cotillard e Matthias Schoenaerts), il film racconta la storia di un uomo rude, segnato dalla vita, che incontra ad Antibes una donna altrettanto sola che trova la sua dimensione soltanto nelle orche che addestra presso un parco divertimenti in cui lavora. Un incidente e i due mondi che si incontrano disegnano un melodramma che regala una luce densa in una Costa Azzurra lontana dal glamour della Croisette.

Cominciamo col parlare della 'sua' Costa Azzurra: è raro vederla rappresentata non nel suo lusso, bensì nei suoi aspetti popolari, cosa pensa a proposito?
Jacques Audiard: In realtà la Costa Azzurra la conosco da tanto tempo e non solo per il Festival di Cannes e comunque credo che ci siano stati altri film che l'hanno rappresentata in modo diverso. La scelta è stata obbligata, anzitutto perché il Marineland è lì (il parco divertimenti in cui lavora la protagonista, ndr.) e poi per la spiaggia grande, la strada sul mare, il treno che passa vicino alla spiaggia, il sole, tutte cose comuni alle città costiere che però hanno anche una vita sociale alle spalle.

Immagine di Un sapore di ruggine e ossaMa lei al riguardo si è ispirato maggiormente a qualche film americano anni '40 in cui dietro lo scintillio del luogo c'è chi lavora duramente?
Mi viene in mente Accadde una notte, film con tante star e paillette in cui però ad un certo punto vicino ad una passaggio a livello c'è una moltitudine di vagabondi sui binari; è una commedia roosveltiana che però fotografa alla perfezione un mondo. 

Che difficoltà ha trovato in questo film a costruire il punto di vista, la prospettiva, visto che qui ha focalizzato la sua attenzione su due personaggi e non su uno come solitamente avviene nei suoi lavori?
E' stato un bel problema in effetti! Mi ha creato diverse difficoltà, ad un certo punto abbiamo pensato di proseguire su due binari di prospettiva. Addirittura c'è una versione della sceneggiatura che vedeva Stephanie come personaggio principale, poi ci siamo resi conto che il parallelismo non funzionava perché è Ali il personaggio fondamentale della storia, quello che compie il percorso più lungo. L'evento che capita a lei è enorme e drammatico ma il centro del racconto è Ali, quasi fosse un racconto di crescita: non a caso il film si apre e si chiude con le immagini di un bambino, il figlio del protagonista. Vero quindi che è una struttura diversa da quella abituale dei miei film ma costruirla in maniera differente era impossibile.

Nei suoi lavori c'è sempre un personaggio isolato dal mondo che ad un certo punto trova il modo di riuscire a connettersi con quello che lo circonda. Come mai le interessa questo aspetto?

Evidentemente è autobiografico! Lo dico scherzando, ma fino a 40 anni ho avuto una sorta di autismo per il mondo, una specie di disagio e infatti nel cinema ho iniziato col fare lo sceneggiatore, lavoro che porta molto all'isolamento. Scegliendo di fare il regista c'è stata proprio la ricerca di poter parlare con più di tre persone al giorno ed in tal senso il cinema è la concretizzazione collettiva di una idea di un singolo che si realizza con uno sforzo comune di varie persone.

Marion Cotillard in una scena di Un sapore di ruggine e ossaCosa l'ha attratta della raccolta di novelle di Davidson, autore che tutto sommato è piuttosto distante dalla nostra cultura europea?
Leggendo la raccolta di novelle di Davidson ho trovato qualcosa che andavo cercando dopo avere diretto Il profeta: lì c'era una storia confinata in carcere, solo uomini, assenza di luce, assenza di profondità di campo, tanta violenza, assenza di amore; nel libro di Davidson invece c'è sole, c'è spazio, ci sono donne, c'è amore e c'è profondità di campo. Nel libro, insomma, ho trovato tutto ciò che andavo cercando. Io non avrei mai immaginato una ambientazione a Marineland o un bambino imprigionato sotto una lastra di ghiaccio. I racconti mi hanno dato la possibilità di fare un melodramma d'amore e di poter avere una donna al centro del mio racconto.

Ha ripetutamente affermato che questo è un film d'amore. Ali scopre l'amore attraverso la paternità, come si spiega questo?
All'inizio avevamo immaginato un Ali più duro, più brutale, che maltratta il figlio, poi dopo qualche giorno di lavorazione con Matthias mi sono accorto che c'era qualcosa che non funzionava, non capivo come sarebbe potuta evolvere la situazione, soprattutto riguardo all'attrazione che Stephanie prova per lui, motivo per il quale Ali nel film diventa più giovane, una specie di fratello maggiore del figlio, si rende conto di essere padre solo verso la fine del film, dopo la scena del lago ghiacciato, e tutto ciò avviene attraverso l'amore per la donna: quando lui le dice "Ti amo" , lo dice anche al figlio.

Come è nata la necessità di creare un personaggio femminile, che nelle novelle di Davidson non esiste, un personaggio molto complesso, ferito che deve trovare un modo per rinascere?
In effetti nel libro di Davidson non esistono personaggi femminili, però quando ho iniziato a recarmi a Marineland sono rimasto colpito dal fatto che la gran parte delle persone che si dedicano all'addestramento degli animali marini sono donne, molto preparate sia fisicamente che culturalmente, ed ho iniziato a fantasticare su come doveva essere la loro attività, che se da un lato ha aspetti circensi, dall'altro è sicuramente molto impegnativa.

Jacques Audiard sul setCome avete fatto dal punto di vista tecnico a togliere le gambe a Stephanie?
Non immaginando il potere della tecnologia, all'inizio ero abbastanza preoccupato, ma questo aspetto non ha ridotto minimamente la durata delle riprese, è stato sorprendentemente semplice: mettendo delle calze verdi a Marion e poi mediante tecniche di fotografia di sottrazione del colore e di ripresa, il gioco era fatto e nessuno sul set ne era consapevole, al punto che spesso dovevo ricordare a Marion che lei non aveva le gambe. E' stato molto più complesso dirigere il bambino!

E dirigere le orche?
E' stato molto difficile... Marion è dovuta andare una settimana ad Antibes affinché le orche si abituassero alla sua presenza. Come tutti gli animali intelligenti, oltre che enormi possono essere pericolose, ma Marion è stata molto coraggiosa. In seguito a due incidenti mortali occorsi a Tenerife ed Orlando, gli addestratori non possono più entrare nell'acqua insieme agli animali, quindi per le riprese abbiamo dovuto piazzare le telecamere ancorate a dei blocchi di cemento sul fondo della vasca, che le orche naturalmente spostavano in continuazione, e infine girare con la massima sollecitudine e prontezza.

Ho trovato un parallelismo tra la figura di Stephanie e quella della protagonista di Sulle mie labbra interpretata da Emmanuelle Devos: entrambe hanno un grosso problema fisico, quasi a voler accentuare una fragilità femminile, ma nello stesso tempo diventano le protagoniste della salvezza dei due uomini. E' un modello di donna dal ruolo salvifico per le sorti dell'uomo?
Magari fosse così! Innanzitutto le assicuro che fino alla fase di montaggio non ho notato il parallelismo col personaggio di Emmanuelle Devos.
Riguardo all'handicap che colpisce le due donne, credo che sia vero il contrario, invece di renderle più fragili, le rende più forti, quasi che fossero persone a metà fino ad allora. L'handicap amplifica la loro sensualità, di cui non erano consapevoli, forse è il mio essere feticista che mi induce a pensarla così, bisognerebbe chiederlo a mia madre!

Marion Cotillard e Matthias SchoenaertsAnche ne Il profeta il protagonista, una volta che viene privato della sua libertà diventa più forte, è una costante nella sua opera...
Beh sì, indubbiamente è vero, non saprei cosa altro aggiungere a quanto detto. Sicuramente posso dire che già in fase di scrittura di Un sapore di ruggine e ossa, intuivo il forte valore erotico che le conseguenze dell'incidente avrebbero avuto, una sorta di shock erotico che avrebbero fatto sì che quell'handicap sarebbe diventato il centro delle scene d'amore.

Come è stato costruire un rapporto professionale con una giovane attrice ma già star affermatissima come Marion Cotillard?
Avevo visto Marion in Le vie en rose, mi era piaciuta molto e avevo il desiderio di lavorare con lei, ma non mi ero reso conto del suo status di star assoluta fino a quando abbiamo iniziato a lavorare per il film e lei era nel contempo impegnata in altri lavori in America. A parte qualche limitazione di tipo organizzativo, è stato semplice lavorare con lei come lo è stato con Matthias o con Emmanuelle Devos o con altri. Credo che se un attore decide di lavorare con me lo fa perché magari vuole fare l'esperienza. Insomma ho capito che star fosse Marion solo dopo il film, quando ho iniziato a notare le pubblicità e tutto il contorno.

Lei è un regista che gode di grande stima da parte della critica americana. Le interesserebbe cimentarsi con quella cinematografia, lei che si ritiene culturalmente profondamente francese?
Se fosse solo una sfida non sarebbe così interessante. Ribadisco di sentirmi un regista francese ed europeo, i film che ho sempre amato sono quelli che mostrano da dove vengono, che sono ancorati ad una realtà sociale e quindi non mi interessa lavorare in un paese che non conosco, di cui non so nulla. Mi trovo molto bene a lavorare in realtà che mi sono famigliari, potrei senz'altro girare un film in Italia ad esempio.
Il sistema cinematografico americano è meraviglioso e meravigliosi sono i registi americani a rappresentare il loro paese, ma io cosa ne so della loro realtà? Io non credo che i registi siano trasportabili altrove. Quello che invece mi infastidisce enormemente è questo riferimento costane ai film americani, quasi dovesse essere il fine ultimo di ogni artista. Io ricordo negli anni '70 e '80 una serie di film italiani, inglesi, tedeschi, francesi straordinari che mostravano una grandissima forza d'identità e mi dà fastidio ora sentire dire: "Oh bello il tuo film, sembra quasi un film americano"... Cosa significa questo? E' ora di smetterla (E gli scappa anche un "Merde!" ndr.).

Marion Cotillard in una scena del filmParlando del cinema europeo, cosa conosce del cinema italiano contemporaneo?
Conosco pochissimo del cinema contemporaneo italiano, ricordo di avere visto Gomorra e mi è piaciuto moltissimo. A prescindere dall'"incidente produttivo" (testuale, ndr.) del cinema italiano, oggi ci sono anche film italiani, ma dove vanno? Dove arrivano? Ricordo sempre che negli anni '70-'80 ogni anno in Francia arrivavano almeno 4-5 film italiani di grande qualità e tutti noi li aspettavamo con ansia e correvamo al cinema a vederli , ma ora dove sono (dove sono gli autori pure, magari ndr.)? In Francia non arrivano e quindi onestamente non li conosco più.

Ha visto Quasi amici, il film candidato agli Oscar per la Francia? Se sì, cosa ne pensa?
No, non l'ho visto, è uscito quando ero ancora impegnato con Un sapore di ruggine e ossa e quando lavoro mi è impossibile andare al cinema.

Che progetti ha per il futuro?
Al momento non ho progetti. Debbo prima finire il percorso completo con questo ultimo film, non voglio ripetere l'errore che feci dopo aver diretto Il profeta, quando parallelamente alla promozione un mio collaboratore si occupava già del prossimo lavoro, cosa che mi ha lasciato un profondo senso di colpa.

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