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Revivre - Recensione (Venezia 71 - Fuori concorso)

Amore e separazione, tormento interiore e dramma: Im Kwon-taek filma la storia di un uomo diviso tra la sofferenza per la malattia della propria moglie e l'attrazione per una giovane donna

La presenza di Im Kwon-taek, probabilmente il più grande cineasta coreano vivente, nobilita una 71esima Mostra del Cinema di Venezia. Il suo Revivre è presentato Fuori Concorso ed è lavoro di una solida drammaticità, rigoroso nella regia come è costume di Im che affronta varie tematiche e che solo nei fotogrammi finali mostra una incertezza piccola ma da sottolineare.
E' la storia di un uomo ultracinquantenne, dirigente di una grande azienda produttrice di cosmetici, la cui moglie dopo un paio di interventi chirurgici al cervello giace sul letto di morte; attraverso lunghi e ben articolati flash back seguiamo la storia della malattia della donna, dell'impegno dell'uomo nel prestarle assistenza, ma anche la nascita di un'attrazione celata verso una giovane collaboratrice.
L'uomo dovrà dibattersi tra il senso di amoroso dovere di assistenza e l'impulso a seguire il sentimento nascente verso la giovane collega. La battaglia tra il dovere di uomo maturo e responsabile, addolorato per l'imminente tragedia e quasi speranzoso di una sua fine rapida e il più indolore possibile si insinua in tutto il film e da un lato regala momenti di altissima drammaticità e dall'altro mostra i dubbi, i rimorsi ma anche gli impulsi che agitano il prossimo vedovo.
Amore e separazione (morte), tormento interiore e dramma, pilastri da sempre del cinema di Im, si mescolano con grande fluidità e organicità nel racconto, anche se come detto all'inizio, un finale che sembra volere quasi ribaltare quanto acquisito fino a quel momento, oltre che superfluo, o quanto meno contraddittorio, lascia una piccola scia di amaro in bocca.
Per Revivre Im si avvale dell'attore che già  avevamo visto in Ebbro di donne e di pittura, Ahn Sung-ki, e di una ben assortita coppia di attrici, Kim Ho-jung che sa prestare bene il suo fisico alla descrizione della malattia e della morte lenta, e Kim Gyu-ri che invece ben si cala nel ruolo della giovane e fresca collaboratrice tentatrice che con sottile ma insinuante discrezione si rende protagonista del tormento del suo capo.

Im Kwon-taek, ormai ben oltre le cento pellicole dirette, conferma con questo lavoro rigoroso e solido di essere regista degno di appartenere al gotha del Cinema contemporaneo, rimanendo sempre perennemente coerente alla sua filosofia cinematografica che esplora i sentimenti dell'uomo.

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