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Blue Sky Bones - Recensione (Festival di Roma 2013 - Concorso)

Dalla Rivoluzione Culturale ad oggi, un racconto famigliare che segue le tracce di una canzone. Il regista Cui Jian, famoso rocker cinese, ci offre il suo sguardo sull'amore e sulla vita, sul passato e sul presente fondendo, e bene, musica e cinema


Cui Jian è personaggio tra i più importanti nel panorama artistico cinese. Antesignano del Rock, musicista che ha spesso accompagnato le performance dei più grandi gruppi occidentali, in qualche modo emblema della rivolta del 1989 culminata coi ben noti fatti di Piazza Tienanmen, regista insieme a Fruit Chan di un lavoro sul terremoto che colpì il Sichuan e presentato a Venezia nel 2009. Al Festival di Roma arriva in Concorso la sua opera prima, lavoro diretto interamente da lui, Blue Sky Bones.
Il film ha una storia che alterna con coraggio e spirito innovativo passato e presente, affondando le radici nella biografia del regista: è infatti il giovane Zhong Hua a raccontare una storia famigliare, sulla base di un racconto scrittogli dal genitore, partendo dagli anni della Rivoluzione Culturale, quando il padre e la madre si conobbero e si sposarono, fino a giungere ad oggi seguendo il filo sottile di una canzone che la madre compose in gioventù e che le costò l'allontanamento dal Partito, perché intrisa di idee borghesi problematiche.
Madre e padre sono due soggetti che vivono su barricate diverse: rivoluzionaria lei, spirito libero, eroina di una Rivoluzione Culturale che non riusciva, almeno in lei, a castrare le aspirazioni musicali che si nutrivano del Rock'n roll; spia del regime lui e per questo detestato dalla madre stessa fino al punto di ferirlo, seppur accidentalmente, al termine di un violento litigio. In mezzo il piccolo Zhong Hua che assiste e che matura nel tempo sentimenti contrastanti verso i genitori: la madre la ritroverà alla fine, il padre è malato di cancro in fase terminale.
Ma Blue Sky Bones non è solo il racconto di un passato tragico, seppur reso con estrema leggerezza: è anche il racconto di un artista in erba, hacker sopraffino, che vede nella musica una forma espressiva libera in grado di ripresentare le stesse tematiche di 30 anni prima. E' infatti la canzone che la madre scrisse e da lui rielaborata, la traccia di questa rimembranza e di questo presente, nella quale si annidano l'amore e il rimpianto, la morte e la ricerca della felicità.
Se è vero che le tematiche raccontate possono sembrare ovvie e ben poco innovative, Cui Jian ha però il grande pregio di rischiare grosso con una struttura narrativa pluri-stratificata e con un connubio musica-cinema che dà un impianto originale al film. Che Cui non sia regista di professione lo si vede, soprattutto laddove non sviscera in maniera compiuta il rapporto tra madre e padre che parte invece dall'epilogo tragico e quando tende a far scivolare il film, visivamente, nell'ambito del videoclip musicale. Piccoli difetti che vengono magistralmente compensati dalla fotografia eccelsa di Christopher Doyle che sa regalare colori e sfumature preziose.

Le riflessioni di Cui sulla morte (bellissima la scena del Padre che risale il fiume in zattera per trovare il giusto luogo di sepoltura) e sull'amore (soprattutto nella parte che riguarda la vita giovanile della madre) hanno la giusta dimensione, senza che il film cada mai nell'eccesso di melodramma (come qualcuno ha già frettolosamente scritto) ed il percorso artistico del giovane musicista dà una chiave di lettura della propria attività di artista Rock ormai storico, pietra miliare del panorama musicale cinese. Blue Sky Bones è film che racconta una storia, offre delle idee, e ci presenta un regista che ha saputo rischiare, proprio in un festival in cui troppo spesso il piattume cinematografico è stato l'autentico protagonista.

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