Nobody's Daughter Haewon - Recensione (AsiaticaFilmMediale 2013)
- Scritto da Massimo Volpe
- Pubblicato in Asia
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Avviluppato in un autocitazionismo quasi narcisistico, Hong Sang-soo prosegue nel suo percorso cinematografico che da un po' di tempo ormai è incapace di regalare piacevoli sorprese come furono i suoi primi lavori.
Con Nobody's Daughter Haewon se non altro introduce qualche novità narrativa e l'impressione di vedere il solito film ripassato in varie salse è sicuramente meno tangibile. E' il racconto, sotto forma di diario, in parte onirico (forse), dei malesseri di una giovane studentessa aspirante attrice, Haewon: parte dal giorno in cui deve incontrare la madre che sta per emigrare in Canada (e qui la prima citazione che spiega perché Hong è così amato in Francia: la comparsata di Jane Birkin che addirittura dice ad Haewon che è identica a sua figlia…), prosegue nell'incontro con il suo professore, nonché amante sposato e, tanto per cambiare, regista fallito e in una classica cena in stile coreano (ubriachiamoci e sputtaniamoci) e si conclude con un lungo sogno, espressione di aspirazioni e desideri, in cui la ragazza immagini maturi professori divorziati che chiedono di sposarla e un incontro con l'amante che nel frattempo è stato cacciato di casa.
E' proprio la dimensione onirica, unita ad una traccia narrativa almeno organica e coerente e all'assenza delle solite scene da banchetto ripetute in cui ognuno dà il peggio di sé salvo poi finire in qualche squallido motel, che regala almeno un po' di originalità a Nobody's Daughter Haewon. Il corpus narrativo è ben delineato: la solitudine e l'incapacità a risolvere i rapporti interpersonali impediscono il raggiungimento delle aspirazioni, che si possono concretizzare solo nel sogno. I personaggi sono sempre meno carogne rispetto a quelli del primo Hong, anzi incutono quasi tenerezza e anche l'ossessiva presenza della Settima di Beethoven come unica traccia musicale sembra voler circoscrivere l'orizzonte del regista.
Certo, come detto, l'autocitazionismo di Hong è sempre più monocorde: stesso habitat in cui pescare i personaggi, stereotipi consolidati (il regista fallito e il giovane aspirante artista), ma stavolta, proprio per una certa autolimitazione che sembra essersi imposto il regista, non assistiamo alla consueta parata inconcludente: qui c'è una traccia e una tematica ben fotografata. Che poi il film sia bello o meno è altro discorso: sicuramente annoia molto meno rispetto a In Another Country.