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Lesson of the Evil (Festival di Roma 2012 - Concorso)

Una immagine di Lesson of the EvilGiostrando tra Brecht e splatter, psicopatie e ironia, Takashi Miike presenta alla settima edizione del Festival di Roma Lesson of the Evil, film che anche stavolta non lascia nessuno indifferente: capolavoro o pattume autentico. Come sempre in medio stat virtus

Come è consuetudine nei film di Takashi Miike, le reazioni al suo ultimo lavoro, The Lesson of the Evil, presentato in anteprima mondiale in Concorso al Festival del Film di Roma 2012, sussurrate in sala e negli inevitabili commenti post-proiezione, spaziano dall'invocazione al capolavoro fino all'etichetta dell'ignominiosa porcata, dimostrando ancora una volta che pochi autori possiedono una capacità innata come Miike di non lasciare indifferenti.
Tratto da un best seller dal titolo omonimo di Yusuke Kishi, il film racconta la storia di un professore di liceo apparentemente irreprensibile, ben voluto da colleghi e allievi; ma già a partire dall'inquadratura della casa in cui vive, fatiscente in mezzo a sterpaglie e pattume, strettamente sorvegliata da due corvacci neri, qualche certezza granitica viene meno di pari passo ad una trasformazione comportamentale, specchio di vecchie follie sepolte.
Sta proprio nel racconto di questa trasformazione che Miike coglie i frutti migliori del suo lavoro: dapprima mostrandoci l'uomo come una sorta di vendicatore silenzioso ed efficacissimo, difensore di deboli vessati o molestati, poi, attraverso un lungo inserto onirico in compagnia del compagno di merende, ne traccia i contorni raccapriccianti ed infine lo insegue nella sua esplosione di follia, miscelando mitologia nordica e Brecht, scene splatter, alcune delle quali risaltano per la prorompente carica ironica che strappa risate (alcuni passaggi del sogno, il fucile monocolo, le mutandine) e citazioni stragiste in stile collegiale-americano.
Se la prima parte è tutta un inseguire i meandri psicologici del protagonista, la seconda, quando esplode il film, possiede un ritmo frenetico nel quale tutto si miscela e si polverizza e in cui meglio si riconosce la mano del regista, che sublima la ferocia e la violenza ad un punto di non ritorno tale che la trasforma in qualcosa altro che genera quasi una simpatia per il protagonista stesso.

Il film nel suo complesso ha la sua ragione di esistere, mostra a sufficienza quanto di buono Miike sa fare e anche, ovviamente, qualche limite, soprattutto nel descrivere un ambiente scolastico un po' troppo stilizzato secondo i classici canoni del cinema nipponico. La prova di Hideaki Ito, attore ben noto che solitamente regala il volto a personaggi positivi, è eccellente soprattutto perché riesce ad avere la stessa faccia in ogni momento del film; insieme a lui una serie di giovani attori e attrici, quasi tutti già visti in altri lavori: Erina Mizuno, Shota Sometani e Fumi Nikaido, solo per citarne alcuni.

Vai alla scheda del film

 

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