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Floating City

Una immagine tratta da Floating CityL'ultimo lavoro di Yim Ho, esponente di punta della New Wave hongkonghese, è una carrellata sulla vita di un cinquantenne di successo, tra storia familiare drammatica, infanzia difficile, riscatto e crisi di identità ora che il ritorno alle origini è compiuto. Il regista conferma la sua grande capacità di raccontare storie di complessi legami e di relazioni difficili

Quando un disastro avviene in mare, il diavolo sostituisce una vita con un'altra”. In accordo con questa antica credenza popolare la vita di Bo prende la sua direzione ineluttabile: tra incensi e figure votive di Buddha pacifici e benedicenti, il mezzosangue nato dalla violenza indotta da un sarto marinaio inglese su una ragazza cinese, viene venduto ad una famiglia di pescatori, di quelli che vivono nella sterminata baraccopoli acquatica di Hong Kong, privata per l'appunto dal diavolo di braccia e forze per tirare avanti.
In 100 minuti di film rivediamo la storia di questo moderno uomo di successo, cresciuto nella dignitosa miseria della floating city, ora che l'Union Jack ha smesso di garrire sui pennoni della megalopoli affacciata sul mare è; ed una storia, se vogliamo anche ovvia, di emancipazione e di orgoglio personale, in cui però non viene mai meno la forza del legame famigliare e delle tradizioni. Yim Ho è regista storico nella cinematografia hongkonghese, artefice insieme ad altri grandissimi nomi di quella New Wave che a cavallo degli anni ‘70 e ‘80 ha regalato lavori splendidi alla storia del Cinema, sempre molto attento al confronto e al rapporto tra mainlander e honkonghesi che svela il più profondo legame tra la tradizione fiera cinese e la contaminazione anglosassone che hanno portato a quel miracolo, sotto tutti i punti di vista, che è stato Hong Kong.
Nella storia di riscatto e di memoria non c'è livida e violenta rivalsa, l'occhio di Yim si poggia più volentieri sull'aspetto umano, intimo, sulla forza del legame famigliare, sull'orgoglio personale che neppure i comportamenti più spregevoli riescono a scalfire. La figura di Bo, ottimamente interpretata da Aaron Kwok che riesce ad essere credibile come ibrido anglo-asiatico da ventenne e da cinquantenne, è il prototipo di tante persone che passando da una bandiera all'altra, da un idioma ad un altro, rimbalzando tra usanze lontani anni luce tra loro, spesso trovano a domandarsi “chi sono io?”; è un accorato appello alla stabilità dell'identità di tanti hongkonghesi che con l'handover hanno subito il trauma definitivo, che paradossalmente coincide con il ritorno alle radici degli antenati.

Pur con qualche licenza un po' forzatamente poetizzante, il film regge bene ed è un apprezzabile sguardo verso il passato di un regista che ha sempre saputo raccontare storie di rapporti difficili e che sa offrire accanto a sinceri momenti di nostalgia uno spaccato sociale credibile, intriso di quella umanità a volte sporca e disperata, ma mai logora e priva di vitalità.

Il DVD del film è disponibile con sottotitoli in inglese su YesAsia.com.

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